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Manifesto2019-07-09T09:33:17+00:00

Perché una conferenza sullo sviluppo del capitale umano?

La crisi globale iniziata nell’autunno del 2008 ha cambiato profondamente il tessuto produttivo italiano e ha generato una vera e propria crisi d’identità che oggi, a oltre dieci anni dall’inizio del processo, è diventata ormai sistemica e rischia di cronicizzarsi.

L’Italia, infatti, ha perso in dieci anni un quarto della sua capacità di produzione industriale, ha visto aumentare la disoccupazione giovanile, ha subito una riduzione del prodotto interno lordo e ha perso molti punti negli indici di affidabilità finanziaria, produttività del lavoro e competitività generale del sistema paese rispetto ai suoi omologhi europei. Abbiamo perso la proprietà nazionale di numerose grandi imprese, abbiamo visto crollare il mito dei distretti industriali, ci siamo trovati ad essere invasi da capitali stranieri che la fanno da padrone in settori in cui, precedentemente, l’orgoglio nazionale sembrava irriducibile (basti pensare al calcio…).

Il panorama della nostra nazione sembra oggi davvero destinato a riprodurre quanto già accaduto in passato: l’Italia, culla di civiltà, ma anche di impresa, ricerca scientifica, applicazione tecnologica, ridotta a terreno di conquista e gli italiani protagonisti di una diaspora che li porta ad esercitare le spesso notevoli capacità personali in contesti nazionali più organizzati e funzionali del nostro. Una volta erano le grandi corti europee, oggi sono le sedi delle multinazionali nei paesi emergenti.

Qual è il vero e più profondo motivo di tale costante arretramento?

Al di là delle motivazioni contingenti, il vero problema del sistema Italia non sta nella mancanza di capitali o di infrastrutture, quanto nella riduzione del suo capitale umano che, negli ultimi trent’anni, non è riuscito assolutamente ad adeguarsi ai cambiamenti imposti dall’avvento della globalizzazione e dell’Era Digitale. Negli ultimi anni le scelte politiche, previdenziali, economiche e, soprattutto, formative hanno portato all’espulsione dalla nostra Nazione di quasi cinque milioni di persone (a tale livello ammonta ormai il numero degli italiani emigrati all’estero), rimpiazzate da un’immigrazione che, simile per numeri complessivi, non lo è assolutamente per il livello di istruzione e il bagaglio professionale che portano con loro le persone che sono entrate in Italia.

Il capitale umano non è diminuito solamente a causa di questo “scambio impari”, ma anche per una costante riduzione del livello di studi conseguito degli stessi giovani italiani. Siamo l’unico paese che vede diminuire il numero di laureati e, incredibilmente, anche la percentuale di ragazzi in grado di arrivare al diploma.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo una enorme riserva di persone che vorrebbero lavorare, ma non trovano occupazione e, allo stesso tempo, abbiamo le ancora tante aziende rimaste in attività che non riescono a trovare lavoratori qualificati o anche solo capaci.

La crisi italiana è, quindi, prima ancora che economica, sociale o produttiva, una crisi “umana”, poiché un sistema socio-economico è fondato sempre e comunque sulle persone. E sono proprio le persone, oggi, ad essere in profonda crisi. Non solo come lavoratori, ma anche semplicemente come elementi fondanti del sistema sociale, ridotti sempre più a percettori/consumatori e sempre meno in grado di farsi elementi attivi e produttori di manufatti, relazioni e significati.

È giusto accettare tutto questo?

No, se non vogliamo che il destino nostro e dei nostri figli si riduca ad un continuo declino che avrà come sbocco naturale l’abbandono della nostra nazione e la dispersione della nostra identità. Sarebbe un danno non solo per noi italiani, ma per tutti, visto che il mondo riconosce all’Italia un patrimonio culturale senza pari. Il retaggio culturale italiano, infatti, non è dato solo dai paesaggi e dai monumenti, ma è fondato innanzitutto su di uno stile di vita e su un know-how che costituiscono una fondamentale “cultura materiale” da preservare, rinnovare e sviluppare.

Per questo motivo è necessario rimettere al centro della nostra azione di cittadini e di professionisti il Capitale Umano ed il suo sviluppo. Intendendo per “sviluppo” non l’acculturazione o il mero conseguimento di titoli, ma il conseguimento della piena espressione di ogni individualità e della sua capacità di relazionarsi con le altre, in modo da consentire la crescita morale, civile ed economica di ciascuna organizzazione e, nel suo complesso, dell’intera società. Affinare la propria sensibilità, coltivare la propria intellezione, potenziare le proprie capacità è il fine dello sviluppo di ciascun individuo. Fondare e sostenere un modello di crescita armonica e organica è l’obiettivo di ciascuna organizzazione di cui quegli stessi individui si fanno parte costitutiva.

In un momento di profonda crisi come questo, diffondere, analizzare e industriarsi ad applicare i migliori metodi e le più efficaci tecniche per sviluppare il Capitale Umano diventa non più soltanto un’opportunità, ma un dovere di ogni dirigente, imprenditore, formatore.

Certo, oggi non mancherebbero le occasioni di studio e conoscenza. Individuale, attraverso internet, oppure all’interno delle tante occasioni promosse dagli ordini e dalle diverse istituzioni: corsi di aggiornamento per gli insegnanti, formazione obbligatoria erogata dagli ordini professionali, simposi, convegni e dibattiti organizzati da editori tecnici e da società specializzate. Eppure queste occasioni mostrano di non funzionare.

 

Perché non sono sufficienti i normali contesti di formazione professionale?

La risposta è semplice. Perché affrontano il problema da un punto di vista tecnicistico. Ovvero presuppongono che il cambiamento (che pur tutti professano come assolutamente necessario…) possa arrivare individuando e diffondendo delle tecniche specifiche e limitate al proprio ambito di competenza. Contribuiscono quindi a isolare, segmentare, indirizzare il pensiero di chi vi partecipa, senza rendersi conto che, invece, avremmo tutti un gran bisogno di aprire, ampliare e fertilizzare il nostro pensare.

Beatrix Conference, invece, vuol fare proprio questo. Creare un’occasione pubblica di reciproco scambio fra professionisti di diversi ambiti, accomunati dall’impegno nello sviluppo del Capitale Umano, oggi in Italia così dolorosamente carente, e dalla capacità di portare esperienze significative anche al di fuori della loro specifica specializzazione disciplinare. Un evento pensato come inizio e fine di un ciclo annuale di riflessione, analisi e diffusione di modelli e pratiche per lo sviluppo del Capitale Umano in Italia, dedicato periodicamente ad un tema ritenuto di assoluta emergenza per la condizione della nostra società.

Per questa prima edizione, che si terrà dal 13 al 15 giugno 2019, il tema individuato è “Competenze e Occupazione nell’era della Discontinuità”, poiché la più grande emergenza che riscontriamo oggi nel nostro paese è la progressiva divaricazione fra le competenze prodotte dal ciclo formativo e quelle che vengono richieste dal mondo produttivo per l’inserimento dei giovani al lavoro.

Questa vera e propria “deriva dei continenti” verrà analizzata grazie al contributo di studio e di esperienza di relatori provenienti da differenti ambiti (impresa, università, terzo settore, scuola pubblica, consulenza), con uno spirito intra-disciplinare in cui i diversi contributi non verranno solamente giustapposti uno di fianco all’altro, ma verranno connessi tra di loro all’interno di un dibattito che possa consentire a tutti i partecipanti di confrontarsi con stimoli nuovi, ma attinenti alle loro esigenze ed al loro specifico interesse.

 

 

La famiglia Rossetti ed il richiamo alla figura della “Beatrix”

Il convegno di studi e la conferenza pubblica, insieme al premio nazionale Beatrix Award conferito ai migliori progetti di sviluppo del capitale umano condotti in Italia, nell’anno precedente alla sua attribuzione, si terranno a Vasto, città scelta non a caso per motivi storici e, soprattutto, per il significato intrinseco definito dal suo spazio urbano.

Vasto, infatti, come molte città del centro-Italia, ha una storia millenaria che ne ha definito l’identità di spazio sociale (il borgo), prima ancora che di spazio fisico. Il suo ampio centro storico, totalmente pedonalizzato, non solo spazia dai resti delle terme romane a quelli dell’incastellamento medievale, ma costituisce un “teatro” naturale in cui i convenuti potranno incontrarsi dentro e fuori dalle sale del convegno per creare ulteriori spazi di confronto e condivisione.

Vasto, inoltre, lega la sua identità alla figura di una famiglia internazionale di poeti, pittori e letterati, quella dei Rossetti, al cui capostipite Gabriele, nato proprio a Vasto nel 1783, sono dedicati tutti i più importanti luoghi cittadini.

Molto più conosciuti all’estero (soprattutto nel mondo anglosassone) che in Italia, i Rossetti sono stati personaggi centrali nell’800 europeo e hanno avuto il merito di far conoscere l’Italia quando l’Italia stessa come nazione non esisteva ancora. L’identità artistica e letteraria che essi hanno contribuito a creare è stata fondamentale nel nostro risorgimento ed ha contribuito alla conoscenza della nostra lingua e della nostra letteratura in tutto il mondo. In particolare Gabriele Rossetti, esule dal Regno delle due Sicilie nel 1821 e riparato prima a Malta e poi a Londra, è stato fra i primi studiosi di Dante, adoperandosi con i suoi studi a riportarlo al centro del dibattito culturale italiano e a farne un simbolo di virtù civile. Se oggi Dante rappresenta per noi un “padre”, lo dobbiamo curiosamente a due esuli come Rossetti e Foscolo che, nel 1826, lo hanno posto al centro dei loro studi dopo secoli di oblìo.

Rossetti, in particolare, incentrò la sua attenzione sul messaggio politico di Dante e sulla lettura di tutta la sua opera come un’allegoria destinata agli adepti di una società segreta (i Fedeli d’Amore), di cui lo stesso Dante faceva parte. Secondo il Rossetti, Dante aveva scritto la Commedia fondamentalmente per incitare i Ghibellini a sollevarsi contro i Guelfi e a ribellarsi al Papa. In questo messaggio era centrale la figura di Beatrice, che Dante aveva creato per simboleggiare “la filosofia”, ovvero l’umano intelletto che avrebbe potuto arrivare al Vero senza dover passare dalla mediazione del clero e senza sottostare alla guida del Papa.

BEATA BEATRIX - Dante Gabriel Rossetti (1872)

BEATA BEATRIX – Dante Gabriel Rossetti (1872)

L’opera di divulgazione di Rossetti e di suo figlio Charles Gabriele Dante, meglio noto come Dante Gabriel, non si è fermata alla rilettura della Divina Commedia, ma si è rivolta prima a tutto lo stilnovismo e poi, più in generale, alla cultura italiana prerinascimentale, in cui in particolare Dante Gabriel, ha voluto individuare un riferimento non solo culturale e politico, ma anche estetico. Con la sua opera di pittore e di creatore di una vera e propria scuola (la Confraternita dei Preraffaelliti), Dante Gabriel è diventato così uno degli esponenti di punta del romanticismo inglese, coniugando vita e arte in una vicenda umana che anticipa i temi del decadentismo e che rimarrà esemplare per generazioni di poeti e di pittori dell’età romantica.

Al centro della poetica e dell’estetica di Dante Gabriel ritroviamo la figura di Dante Alighieri (che sarà ritratto in moltissime opere) e, soprattutto, della Beatrice, che Dante Gabriel Rossetti rivedrà nelle sembianze dell’amata Elizabeth Siddal, morta suicida nel 1862. Ritratta da Dante Gabriel (e da tanti altri pittori della cerchia) in numerose opere, il suo ricordo è stato consegnato alla storia soprattutto grazie all’ enigmatica opera “Beata Beatrix”, in cui Elizabeth assume le sembianze di una Beatrice sospesa fra il sogno e la morte, circondata da elementi iconici che richiamano il tempo, la purezza e l’oblio.

I Rossetti, per il loro successo di artisti, ma soprattutto per il valore politico della loro opera, ebbero grandissima fortuna fino agli anni ’20 del novecento. L’opera poetica di Gabriele Rossetti fu pubblicata nel 1861 curata da Giosuè Carducci e rimase nelle antologie fino agli ai patti lateranensi. Dopo il 1929, con l’accordo fra Stato e Chiesa, il massone Rossetti fu letteralmente rimosso dalla storia della letteratura italiana e la rimozione interessò anche i figli Dante e Cristina (a sua volta importante poetessa), che hanno continuato ad essere letti e studiati molto più in Inghilterra che da noi.

Perciò oggi, anche se non ce ne rendiamo conto, una parte della nostra identità culturale è legata all’opera di Rossetti. Senza di lui Dante non avrebbe avuto la fortuna straordinaria che ha avuto. I poeti stilnovisti non sarebbero tornati di comune interesse. Senza Rossetti e suo figlio, la Beatrice di Dante sarebbe solo un personaggio storico, i pittori del ‘400 precedenti a Raffaello sarebbero forse considerati un residuo tardomedievale e il nostro immaginario non sarebbe più popolato da bellezze misteriose con i capelli rossi (come quelli della Siddal).

La modernità ed il valore dell’opera dei Rossetti oggi non consiste tanto nei risultati artistici da loro raggiunti, quanto dalla rilevanza del tema da loro proposto: la centralità della conoscenza e la trasmissione della stessa attraverso la parola e l’immagine.

In questo senso, la vicenda di Gabriele Rossetti, la sua opera di costruzione dell’identità nazionale, la sua alterna fortuna nei successivi 150 anni e la meravigliosa epopea dei simboli da lui creati o riscoperti costituiscono un riferimento storico esemplare per intraprendere un dibattito sullo sviluppo della conoscenza e, quindi, del Capitale Umano in una fase sociale e politica come quella attuale che, sebbene distante, può ricordare per alcuni elementi quella rivoluzionaria drammatica e rivoluzionaria che ebbe a vivere Gabriele.

Un modello non di consumo, ma di produzione culturale

Beatrix Conference è un’iniziativa incentrata sul concetto di produzione culturale. Per reagire al declino, infatti, è innanzitutto necessario ribaltare l’atteggiamento che oggi, a tutti i livelli, ci vede fruitori passivi di significanti e significati prodotti all’esterno del nostro ambiente. Beatrix Conference, infatti, non vuole essere una delle tante casse di risonanza di modelli e ricette, per lo più statunitensi, che vengono stancamente tradotte e ripetute spesso senza comprenderne neanche pienamente il senso.

Certo, vantare la presenza del pensatore à la page, o di un qualche suo epigono nostrano, consentirebbe di dare immediato risalto ad una nuova iniziativa. Invece abbiamo pensato di fare l’esatto contrario. Non inseguire i nomi, ma la sostanza. Lasciar perdere la forma e pensare al contenuto.

La Beatrix Conference nasce infatti come “conferenza” nel suo significato più vero. Il convegno di studi preparatorio dei primi due giorni è il momento in cui i relatori e i professionisti registrati si ritrovano e scambiano fra loro informazioni ed esperienze sui temi oggetto dell’edizione. La “conferenza” pubblica finale è il momento in cui i relatori “conferiscono” il risultato del lavoro proprio e di tutti gli altri “convenuti”, esponendolo al pubblico. Beatrix Conference è un’occasione per diffondere un punto di vista, uno strumento, un metodo o anche solo l’immagine di qualche organizzazione.

Beatrix Conference nasce per creare un contesto di libero scambio in cui tanti punti di vista diversi possano confrontarsi tra di loro e costruire una conoscenza ed una consapevolezza maggiori delle tematiche affrontate poiché, nella visione di un fenomeno, “l’insieme è maggiore della la somma delle sue parti”.

 

Per poter diffondere il risultato dello sforzo di produzione culturale sostenuto con l’organizzazione della conferenza, abbiamo deciso di avviare due attività specifiche, una dedicata alla produzione editoriale e l’altra alla gestione di una “conferenza virtuale permanente”. La “produzione editoriale” consiste nella pubblicazione di un saggio sul tema dell’edizione a cura dell’editore Castelvecchi preventivamente alla conferenza. Ogni anno la conferenza stessa sarà quindi l’occasione della presentazione di una pubblicazione divulgativa che verrà poi distribuita sul territorio nazionale e conterrà gli interventi dei relatori selezionati per l’edizione stessa. La “conferenza virtuale” consisterà invece nell’attività che sarà poi svolta successivamente sul sito web e sui canali social della Beatrix Conference tramite la selezione e divulgazione di ulteriori contenuti prodotti durante l’incontro di giugno oppure successivamente.

Come già affermato, lo spirito della conferenza è quello della massima apertura. I relatori di ciascuna edizione saranno individuati in relazione al tema dell’anno, ma attraverso un meccanismo trasparente di call for paper che ci consentirà allo stesso tempo, di ricevere liberamente nuove proposte e comunque selezionare relatori che abbiano effettivamente “qualcosa da dire”. Negli inviti ai relatori della prima edizione il comitato organizzatore ha seguito proprio questa filosofia. Chiamare persone che avevano esperienze specifiche nel proprio ambito, ma condivisibili e portatrici di potenziale significato per tutti. La collaborazione con RATI – Rete degli Abruzzesi per il Talento e l’Innovazione, associazione molto attiva nella promozione delle nuove competenze nelle scuole di ogni grado della regione, ci ha consentito di individuare esperienze di particolare valore che rappresentano davvero “il fiore all’occhiello” di quanto prodotto dalla “società civile” del territorio ospitante.

Per gli anni successivi, il meccanismo di cooptazione dei relatori che saranno chiamati a partecipare alla Beatrix Conference sarà basato quindi sulla call for paper e sull’individuazione di best practice operative sulle quali richiedere una testimonianza. L’individuazione delle stesse è il motivo per cui, assieme alla conferenza, già da questo anno, sarà conferito il Beatrix Award a 4 progetti di Sviluppo del Capitale umano svolti in Italia l’anno precedente e ritenuti particolarmente significativi dalla giuria costituita sotto il comitato scientifico.

Lo spirito di apertura della conferenza è, infine, anche in queste righe di sua presentazione. Un’iniziativa trasparente, promossa da persone di buona volontà che vogliono aprire la porta di “casa” a chi, come loro, sia alla ricerca di un confronto. 

Perché riteniamo che solo la condivisione delle conoscenza, come nel nome stesso di Beatrix (colei che porta la felicità), possa dare un senso positivo all’esperienza che ognuno di noi quotidianamente conduce.

Alessandro Obino

Fondatore e Presidente della Beatrix Conference

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